Io, venditore di elefanti - Pap Khouma

Io, venditore di elefanti di Pap Khouma e Oreste Pivetta: storia di un clandestino

Pap Khouma è originario di Dakar, in Senegal, ed è immigrato in Italia nel 1984, dove attualmente vive lavora e scrive. Khouma è stato uno dei primi scrittori migranti a pubblicare in Italia, portando in auge nel nostro paese il fenomeno della cosiddetta letteratura della migrazione. Io, venditore di elefanti è stato scritto in italiano e pubblicato a Milano nel 1990, a quattro mani insieme al giornalista Oreste Pivetta. Come indica il sottotitolo di quest’opera: Una vita per forza tra Dakar, Parigi e Milano, nel libro viene raccontata l’esperienza migratoria attraverso gli occhi di un clandestino africano, arrivato nel nostro paese per garantirsi un avvenire migliore. Questa narrazione autobiografica è di fatto un viaggio attraverso le varie tappe che hanno portato il protagonista, alter ego dell’autore, ad emigrare da Dakar, suo luogo di origine, continuando il suo pellegrinaggio tra la Costa d’Avorio e l’Italia, la frontiera tedesca e la Francia. In condizioni di clandestinità questo giovane senegalese è stato costretto a vivere stipato in abitazioni con altri immigrati, procurandosi da vivere attraverso la vendita ambulante e cercando di schivare gli “zii”, ossia le forze dell’ordine, pronte a sequestrare la sua merce.

Vendere per noi è obbligatorio. C’erano i giorni in cui mi faceva più schifo del solito entrare in un locale, rompere le scatole a qualcuno che se ne stava tranquillo a bere, mangiare, fumare e non mostrava nessuna curiosità per i miei elefanti. Ma la nausea che provavo la dovevo ricacciare dentro. … Ma la regola è “resistere”. Lo so per certo, l’ho visto con i miei occhi: se ti arrendi sei finito, ti lasci andare, dormi sulle panchine, non ti lavi più, non mangi più, vuoi solo piangere.

Nonostante le difficoltà incontrate durante questo percorso, il ragazzo è fiducioso nell’avvenire e deciso a non farsi sopraffare dalle avversità della vita. Khouma in questo lavoro dà libero sfogo alla frustrazione per quello che ha dovuto subire da clandestino, per il lavoro difficile e spesso umiliante, mostrandoci dal di dentro le condizioni precarie nelle quali sono costretti a vivere tanti immigrati nel nostro paese ed in tutt’Europa. Molte sono le cose che ballano per la testa di chi scrive, “cose che non interessano i bianchi”, ma che questo libro porta alla luce, rivelandosi una testimonianza diretta e fondamentale di una condizione di vita oggi tanto diffusa. Khouma ci spiega le ragioni che spingono a questa scelta sofferta e le difficoltà che essa comporta, dando una chiave di lettura ad un fenomeno che consideriamo ancora distante, nonostante sia sotto i nostri occhi ogni giorno.

Come ci si sente da clandestini? Male. Oltretutto si entra in concorrenza con chi sta male quanto noi. Un immigrato deve subire, tacere e subire, perché non ha diritti. Deve reprimere dentro di sé ogni reazione, svuotarsi di ogni personalità. Subire con la consapevolezza che questa è l’unica possibilità.

Il libro ha l’andamento tipico di un diario ed unisce i ricordi nostalgici del suo paese natale alle esperienze vissute nelle città nelle quali ha vissuto, il tutto attraverso un racconto diretto, scritto in un linguaggio semplice ed immediato.

Quest’opera ci fa riflettere, a volte lasciandoci l’amaro in bocca, altre volte commuovendoci. Ci sono pagine dolorose che descrivono le violenze fisiche, oltreché morali, alle quali il giovane senegalese è stato sottoposto, ma resta di fondo una volontà incredibile di rivincita ed una forza di volontà, che lo fa aggrappare strenuamente alla vita.

Khouma ce l’ha fatta, ha resistito, riuscendo infine a regolarizzare la propria condizione di immigrato, ha cambiato lavoro e si è dato da fare per aiutare i suoi connazionali, cercando di difendere i diritti degli immigrati e dando testimonianza della realtà nella quale essi vivono. Ma sono tanti quelli che non ce la fanno, che vengono schiacciati prima dal sistema ed è a loro che bisogna rivolgere lo sguardo.

Proprio attraverso il racconto della sua condizione di migrante, Khouma è riuscito ad aprire gli occhi ai lettori su questa realtà, ancora oggi conosciuta in maniera superficiale da noi europei. La letteratura della migrazione ha il merito di trasformare questa esperienza dolorosa in una testimonianza unica, il racconto diventa così il modo più efficace per comunicare con l’altro, per spiegargli un diverso punto di vista. Ed è attraverso la lettura che noi possiamo iniziare a correggere i nostri pregiudizi, approfondendo una realtà che ad oggi è diventata parte integrante della nostra cultura. Come diceva Salman Rushdie infatti, l’emigrante è la figura qualificante del XX secolo ed è giusto approfondire questo fenomeno per renderlo più vicino, superando ogni ostilità.

Sono passati vent’anni dalla pubblicazione di questo libro, ma oggi più che mai è necessario rileggerlo, oggi che gli immigrati in Italia sono aumentati e che i riflettori sono puntati sulle coste di Lampedusa, sulle vite sommerse e sulla speranza dei sopravvissuti, perché è attraverso la voce dell’altro che possiamo comprendere, indignarci ed infine mobilitarci.

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