Così uscimmo a rimembrarle,
dotarle di membra instabili e terrene,
legarle con lo spago dei nostri desideri
ai nostri sogni nuovi redivivi e sempre uguali.
Quelle dita strette intorno ai polsi
le hanno disegnate livide
le abbiamo ritrovate nelle nostre stanze aride
capovolte e condannate.
E ad incastrarle ad una maschera
Come due occhi freddi che non guardano.
A trascinarle giù e sporcarle,
perché quel bianco le ha rese sterili
e sono le preghiere a celebrarle.
Ieratiche errano sopra le nostre teste
e spesso sono già morte
La luce che ci arriva è l’ultimo saluto
Che rimarrà a fissare quel prato vuoto
Dove ci fermammo ad osservarle.
Onirocritici e filosofi,
astrologi ed aruspici emofobi,
non alzano più il naso alla volta dello sporco cilestrino.
Ma due ombre vane le legano
Ai loro sogni nuovi,
redivivi e sempre uguali.
Michela Chessa – dalla raccolta “Nottivaga“