Zephiro - band romana

Intervista agli Zephiro: epigoni della new wave romana

Gli Zephiro sono una delle band più longeve della scena romana: attivi da più di dieci anni, vantano un’esperienza live che ha superato i confini nazionali, per arrivare fino al Giappone e agli Stati Uniti. Oggi cercano di rielaborare quello che è stato il genere artisticamente più importante per l’Italia degli anni ’80, quella new wave grazie alla quale scoprimmo artisti come i Diaframma, i Litfiba, Faust’O, i Neon e molti altri. Li ho intervistati per voi e mi hanno parlato del loro passato e dei progetti per il futuro.

 

Zephiro band
Zephiro band

Come e quando nasce il progetto degli Zephiro?

Claudio Todesco: nel 2002 a Roma con una formazione diversa dalla attuale nelle persone e nel numero di membri. Come quasi per ogni band agli esordi l’esigenza fu quella di iniziare a comporre brani propri e proporli in pubblico. Fu un periodo in cui le tribute padroneggiavano più di ora e quindi nacque in parallelo un collettivo di band coordinate da “NoSlappers” che sensibilizzò il pubblico romano e permise alle band originali di trovare più spazi.  Anche il genere che ci ispirava dodici anni fa era notevolmente diverso da quello attuale, ci lasciavamo trasportare dal progressive, dal grunge e dal rock italiano. La new wave era solo una contaminazione che poi negli anni è divenuta l’influenza principale. Io sono l’unico rimasto di tale formazione e porto avanti ormai da anni il progetto con Claudio Desideri alla voce e al basso e con Leonardo Sentinelli alla batteria.

Come è cambiato il vostro percorso artistico rispetto agli esordi e al vostro primo album Immagina un giorno?

Claudio Todesco: dei primi Zephiro è rimasto il mio chitarrismo e il mio modo di comporre, l’uso della lingua italiana, ma sono cambiati gli arrangiamenti e soprattutto il processo di comporre ed arrangiare è più collettivo, lascia spazio alle improvvisazioni che poi diventano brano. L’apporto compositivo di Claudio Desideri è stato determinante senza tralasciare quello arrangiativo di Leonardo. Il primo album è naif e quindi va preso come tale, una sorta di compilation ingenua e consapevole allo stesso tempo dei primi quattro anni della band, per questo in alcuni punti disomogenea ma rappresentativa di come eravamo. Oggi c’è una direzione ben precisa e condivisa quindi c’è più determinazione sul dove si vuole andare.

Al momento possiamo dire che il vostro genere di riferimento è la new wave, c’è ancora spazio oggi per questa corrente in Italia?

Claudio Todesco: sicuramente c’è molto spazio visto la nu-wave attuale che non ha fatto altro che riportare alla ribalta un genere che per i corsi e ricorsi storici musicali non avrebbe potuto fare altro che riemergere. Invito le band new wave italiane a scrivere con la nostra lingua per dare un input di originalità in più ad un genere che già è stato sviscerato in inglese ma a mio parere ha ancora molto da dire in altri linguaggi che in quanto tali determinano melodie ed arrangiamenti diversi da quelli anglofoni.

Quali sono i vostri gruppi di riferimento?

Claudio Desideri: sicuramente il mainstream  new wave dei Depeche Mode, The Cure, Tears for Fears, Talk Talk, i primi Simple Minds e tutti i classici del revival attuale come Interpol, Editors e White Lies. Altre due band che ci hanno ispirato molto come atmosfere, suoni ed essenzialità sono i Sad Lovers And Giants ed i The Sound. Infine sottolineerei le nostre influenze trasversali quali Mew, Tame Impala, We Are Scientists e Queens Of The Stone Age.

Il vostro gruppo ha viaggiato molto, dal Giappone a New York passando per la Francia, avete ricevuto la stessa accoglienza ovunque?

Claudio Todesco: accoglienze totalmente diverse ma nessuna mai banale e disinteressata. Il poco interesse fisiologico del pubblico per una band locale rispetto ad una band estera non giustifica l’abisso tra la brama e la curiosità del pubblico estero relativamente alla quasi indifferenza del pubblico italiano. In Francia è stata l’esperienza più fricchettona ospitati nel quartiere mussulmano di Montpellier con un pubblico danzante e incurante di non conoscere neanche una canzone. In Giappone il pubblico più attento, rispettoso ed anche più caldo in alcuni frangenti, il tutto sintomatico del loro modus vivendi pieno di estremi tra esagitazione e rispetto. A New York si trovano le persone che vivono l’ascolto di un live come se stessero facendo la spesa, in un modo così naturale che fa trapelare quanto faccia parte della loro cultura.

Nel 2010 gli Zephiro intraprendono lo ZEPHIRO JAPAN TOUR 2010, come sono stati questi tre mesi e come è percepita la musica italiana in Giappone?

Claudio Todesco: è stato il tour della mia svolta mentale ed artistica, dopo trentasette live in tre mesi con una media di quasi un live ogni 2 giorni, ha dato la prova a me stesso che se avessi voluto avrei potuto affrontare altri tour e vagare per il mondo, il sogno di parecchi musicisti romani che restano rintanati nella loro città bloccati dall’aspirazione di un budget più alto che non arriverà mai se non si investe su se stessi e sulle proprie esperienze. Tornando ai tre mesi sono stati saturi di situazioni di ogni tipo anche extramusicali, ma tutto poi ritorna anche se indirettamente alla musica che sarei andato a comporre di lì a poco. Una delle consapevolezze acquisite è stata cosa significhi suonare su un palco con una qualità sonora prima nel mondo in questi termini e non sono di certo l’unico ad affermarlo. La cortesia degli staff delle live house nipponiche anche non ha eguali e la meticolosità con cui sei seguito denota un rispetto per quello che fai mai provato in nessuna terra. Osservo anche che il biglietto di un live di una band indipendente in Giappone oscilla tra i duemila e i tremila yen che al cambio attuale sono circa venti euro: impensabile in Italia. Gira denaro intorno alla musica perché tutti spendono per biglietti e acquistano cd o mp3 online. La nostra musica a parte i cliché di Pavarotti, Mina e Sanremo è percepita come esotica e piena di energia non espletata col noise o col tecnicismo come farebbero i nipponici ma con la passione che ci contraddistingue da secoli.

In che modo la musica occidentale si sposa con la lingua giapponese scelta per due dei pezzi dell’ Ep Kawaita Me e come mai questa scelta?

Claudio Desideri: la scelta è stata un tendere la mano verso questo popolo che ha dato tanto alla band in termini di rispetto, cortesia ed opportunità. La fonetica della lingua italiana è simile a quella del Giapponese quindi non c’è fatica alcuna da parte loro a digerire le nostre melodie già note anche da classici del passato. Ci teniamo particolarmente a ringraziare il nostro amico e collaboratore Daisuke Ninomiya per gli adattamenti dei testi ed il prezioso aiuto sulla corretta pronuncia.

All’attivo avete numerosi live, ce n’è uno in particolare che ricordate con maggiore emozione?

Claudio Todesco: abbiamo trecento live spaccati all’attivo e di emozioni uniche ne abbiamo tante. Ad esempio al Jam di Shinjuku a Tokyo, una storica live house punk, il pubblico invase il palco calpestando tutto e staccando tutti i cavi ed interrompendo più volte il suono prontamente ripristinato da noi ed il fonico da palco. Un live memorabile fu condividere il palco con Carl Palmer a Stazione Birra di Roma o suonare al Centralino del Tennis per due volte davanti a moltissimo pubblico. Anche la presentazione di “Immagina un giorno” a Messaggerie musicali di Roma, noi prima band autoprodotta a farlo. Una grande conquista.

Leonardo Sentinelli: per quanto mi riguarda il primo concerto appena entrato negli Zephiro, era al Sinister Noise di Roma; fu un misto di serenità ed emozioni, la miscela giusta per essere lungimiranti. Inoltre sicuramente l’ultimo live dello “Zephiro Japan Tour 2013” al Wild Side Tokyo dove quasi tutto il pubblico dei precedenti live confluì per darci un “sayonara” collettivo.

Parlateci del videoclip de “La Colpa” registrato al Chop di Tokyo durante l’ultimo tour nipponico del 2013, come è nata l’idea della coreografia delle due ballerine?

Claudio Todesco: una delle esperienze trasversali del tour del 2010 fu l’incontro casuale a Tokyo con Kihiro e Kou. Mi imbattei casualmente in questo show di performer semiprofessionisti e fui colpito da queste due minute danzatrici che ballavano in maniera estremamente coordinata e sincopata come fossero un unico organismo. Presi il loro contatto è gli chiesi se fossero state interessate a creare una coreografia per un brano degli Zephiro. Restammo in contatto per tre anni per poi concretizzare il tutto nel 2013 parallelamente al nostro ultimo tour. Durante questi tre anni le due ballerine si separarono poiché una si trasferì in un’altra città e quindi crearono una coreografia senza vedersi fisicamente ma solo via web fino ad un giorno prima delle riprese, nonostante ciò l’esecuzione fu impeccabile e trapelò da parte loro la nostalgia di tempi andati. La location fu il Chop, una storica live house punk di Ikebukuro, un quartiere saturo di musica live, basti pensare che solo lì ci sono circa cinquanta locali attrezzati e Roma ne conta solo cinque o sei a quel livello, e parliamo solo di un quartiere di Tokyo. Il videoclip de “La Colpa” è stato realizzato da un regista locale Hiroshi Matsuoka che ha dato molto spazio alla danza, per il resto vi invito a cercarlo su youtube digitando per esempio “zephiro la colpa japan”.

Parliamo dei vostri progetti futuri, come procede la preparazione del vostro nuovo album?

Leonardo Sentinelli: siamo chiusi in studio di registrazione ad ultimare le “pre”, vere e proprie bozze per poi approcciarsi alla registrazione professionale. Questo ci consentirà di arrivare all’incisione finale con le idee chiare sull’arrangiamento e l’esecuzione dell’album.

Claudio Todesco: sarà un lavoro scuro e solare al contempo molto influenzato dalla new wave classica e nuova ma con svariate contaminazioni personali. I testi saranno meno introspettivi e più narrativi, sarà evidente un’attenzione smodata al suono della parola senza penalizzarne il significato.

Claudio Desideri: la composizione dei brani sta facendo emergere una bella sinergia fra di noi. E’ strabiliante il connubio che nasce dalla fusione delle preferenze d’arrangiamento. Componiamo i brani strumenti alla mano e libera interpretazione in testa. Ciò fa si che ognuno senta la canzone una sorta di creatura propria. Questo aspetto ci apporta una serenità determinante ai fini del successivo arrangiamento. Ogni tanto ci sono scontri su qualche dettaglio compositivo ma la consapevolezza che la strada verso un genere coerente sia la stessa per tutti ci da grande entusiasmo. C’è così tanto fermento che spesso dobbiamo placare la voglia di comporre nuovi brani per dare spazio ad un lavoro più “utile” come l’ultimazione dei testi. A tal proposito stiamo mettendo particolare meticolosità nella scelta degli argomenti da trattare. Interpretiamo l’ascolto delle canzoni non solo come un viaggio musicale ma anche fonetico che possa infondere nell’ascoltatore curiosità. Non vediamo l’ora d’iniziare le “recording session” finali e vedere l’album prendere vita e forma finale. Finora il viaggio che porta a quel giorno è bellissimo.


Michela Chessa per 100Decibel